C’è una linea di confine, che demarca un prima e un dopo.
E ci sono storie che sono proprio queste linee di confine.
La storia del piccolo Alfredo Rampi, detto Alfredino, è una di queste.
E ci sono storie che sono proprio queste linee di confine.
La storia del piccolo Alfredo Rampi, detto Alfredino, è una di queste.
Come sapete, non sono mai tanto propensa a vedere film o serie tv italiani in quanto spesso mi deludono.
Ma ci sono produzioni che colpiscono il mio cuore e Alfredino, creato da Sky, è una di queste. La storia è un terribile fatto di cronaca nera, che riassumo per chi (come me all’inizio della serie) non ne sapeva molto.
È la sera del 10 giugno 1981 quando il piccolo Alfredino, di soli sei anni, non fa ritorno a casa.
Siamo a Vermicino, una piccola frazione del Lazio, dove la famiglia Rampi si è recata in vacanza affinché il bambino possa riposare prima di sottoporsi a un importante intervento cardiaco.
Cominciano le ricerche, scoordinate e superficiali, finché un giovane agente di Polizia scopre che Alfredino è caduto dentro un pozzo artesiano lasciato scoperto.
Nei tre giorni successivi l’Italia intera, e non solo, si mette in moto nel disperato tentativo di salvare il bambino precipitato a ben 36 metri sottoterra (che poi diverranno 60). Persino l’allora presidente Sandro Pertini corre a Vermicino, per portare aiuto alla famiglia Rampi. A nulla valgono i tentativi di salvataggio.
Il 13 giugno Alfredino si spegne.
La serie che Sky dedica a questa storia è senza dubbio d’impatto.
Il cast, composto da attori che secondo me sono stati davvero bravi, vede in cima Anna Foglietta nei panni di Franca (la mamma di Alfredino) e Massimo d’Apporto che interpreta Sandro Pertini.
La serie è cruda, non indora la pillola e mostra la tragedia come è stata, mettendo in luce tutte le mancanze che hanno portato alla morte del bambino.
Ma ciò che mi ha più colpito, in realtà, è stato l’impatto mediatico.
Quando emerge che la storia di Alfredino non è così semplice, non è una “notizia da provinciali”, entra in scena il giornalista di Rai2 Francesco Viviano che, con un escamotage infimo, ottiene l’indirizzo del luogo della tragedia e vi si reca con un cameraman.
La ragione, detta da lui, è quella di raccontare al paese una buona notizia in un periodo buio.
In realtà questo suo gesto avrà delle conseguenze terribili.
La storia di Alfredino diventa il primo evento mediatico che tiene inchiodata tutta l’Italia, una specie di macabro reality show dove ciascuno ha la sua opinione, buona o cattiva che sia, che fa capire ai giornalisti “l’importanza” di intromettersi nella vita delle vittime (e delle loro famiglie) per avere una grande audience.
Ecco qui la linea di confine, il prima e il dopo.
La tragedia di Alfredino traccia un confine dal quale non si potrà più arretrare.
La stampa e i mass media si trasformano, perdono l’aura di professionalità di cui si erano ammantati per anni e diventano idrovore assetate di audience, a caccia della notizia da prima pagina, diventano mostri disposti a tutto, persino a creare false notizie se necessario.
Dopo Alfredino ogni crimine, ogni tragedia, ogni notizia di cronaca nera diventerà un circo mediatico di pessimo gusto, privo di rispetto e dignità.
Ecco cosa mi ha davvero colpito di questa serie e se ci ripenso, mi viene da dire che era meglio se Alfredino non fosse mai caduto in quel maledetto pozzo ed era meglio se nessun giornalista avesse deciso di trasformare una tragedia familiare in una pagliacciata nazionale.



Metti un dito nella piaga per quelli come me lo hanno vissuto(indirettamente) ma c'era una comunita italiana che ha pianto è pregato che questo bambino si salvasse. Cosa non ha fatto lo Stato Italiano per far si che Alfredino si salvasse. Nata Complicata chi l'ha vissuto è oggi ti legge il nodo alla gola gli viene nel ricordare quei monti davanti alla TV a pregare per lui.
RispondiElimina