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And just like that: il sequel che uccide

Propongo fortemente di fare una campagna a favore della parola fine.
Questa bella parola serve a tante cose, nello specifico del mio post a dire che una storia è giunta al suo naturale termine e non ha bisogno di dire altro. In fondo, è mai importato a qualcuno di sapere cosa accade dopo il famoso e vissero per sempre felici e contenti?
No.


Sex and The City, la famosa serie tv ambientata a New York, insieme ai due film (ben due!) che l’hanno, diciamo, completata, era una storia finita.
Bella, ironica, sopra le righe, coi suoi alti e bassi, le sue isterie ma comunque finita.
Stop.
E invece no!
Ecco che dopo anni appare questo prodotto di nome And just like that (traduzione: “ed è così che”) che scoperchia il sarcofago e fa emergere tre mummie di nome Carrie, Charlotte e Miranda pronte a tornare sul grande schermo.

Da dove inizio a calare la mia mazza della tumefazione?
Ho dovuto rifletterci un po’ e ho deciso di cominciare proprio dalle attrici e dai produttori della serie.
Che problemi avevano?
Le loro vite erano così piene di niente da dovere per forza decidere di aprire di nuove le tende del siparietto e lanciarsi nel ridicolo?
Perché questa serie è ridicola, fatta così male che rovina tutto ciò che è venuto prima.


Gli attori hanno sceso la scala del declino, sia fisico che artistico.
Se ai tempi della prima serie erano all’apice, erano briosi, perfettamente calati negli anni che interpretavano, qui sono delle cariatidi incapaci di accettare il passare del tempo.
Il botulino e il bisturi hanno fatto visita, quindi vediamo facce inespressive, labbra a canotto, volti finto giovanili e corpi che in confronto mummie levatevi di torno.
I personaggi non si sono evoluti.
Sono passati anni e anni, non siamo più nello scorso millennio, e loro non sono andati avanti.
Risultano ridicoli, stupidi da fare pena.
Roba che ti viene voglia di accompagnarli in una casa di riposo e lasciarli lì.
Ma fosse questo il minore dei mali...


Parliamo delle “ragazze” (vedasi immagine sopra).
Quando si crea un sequel bisognerebbe ricordarsi tutto, e dico tutto, della prima parte della storia perché altrimenti il disastro è dietro l’angolo.
Carrie, Miranda e Charlotte sono irriconoscibili e non solo dal punto di vista fisico.
Dei vecchi personaggi non è rimasto più niente, sono delle caricature: Carrie adesso, dopo che l’ha data a mezza New York (escludendo gay e donne) è diventata Miss Puritana che si sconvolge per ogni minima cavolata, Charlotte è sempre più superficiale e Miranda sembra preda dell’alcol e della stupidità.
E Samantha?
Samantha non c’è e la sua assenza si fa sentire perché, diciamola tutta, il collante della serie era proprio lei con la sua ironia, la sua forza, il suo essere sopra le righe e anche un po’ sfacciata.
Ma come mai non c’è il personaggio?
Ecco, qui faccio un monumento a Kim Cattral che (a parte una comparsata di 75 secondi, che potrebbe essere una delle scene scartate dal secondo film) non farà parte della serie.
Come ha dichiarato l’attrice, Sex and the City ha fatto il suo tempo così come i suoi personaggi, ora bisogna dare spazio ad altro.
Sono più che d’accordo!

Ma andiamo avanti.
Cosa si fa quando non si hanno idee narrative? Si fa morire uno dei protagonisti.
Che ideona, come mai non è mai venuta in mente a nessuno?
Forse perché fa pena?
Ma gli autori di questa serie hanno invece pensato che far morire John James Preston, meglio noto per anni come Mister Big, era la scintilla perfetta per dare nuova linfa al personaggio di Carrie e quindi a tutta la storia.
L’idea non ha funzionato, chissà come mai.
Eh già perché i fan della serie, sottoscritta compresa, si sono sentiti presi in giro dopo anni di pipponi immani, di tira e molla, di ti amo e non ti amo, di Romeo e Giulietta scansatevi.
Big muore.


Va bene, l’attore che lo interpreta non voleva giustamente più fare parte del cast, ma non si poteva trovare un escamotage del tipo “Big è in Europa per lavoro” o robe del genere per giustificare l’assenza del personaggio?
Simulare una telefonata ogni tanto era troppo?
Un divorzio no?
No, facciamo Carrie vedova che non solo ricomincia ad andare a caccia di uomini ma nella seconda stagione della serie si rimette con Aiden!
Aiden, il suo secondo grande amore, quello che Carrie tradisce (con Big) e che dopo averlo preso in giro miriadi di volte non sposa. La loro storia finiva in me**a.
Ma qui no, la storia c’è ancora e Carrie ammette che Big non è stato il grande amore della sua vita ma il suo errore.
Che poi mi viene da ridere perché, purtroppo, uno degli attori della serie è morto sul serio: era Willie Garson alias Stanford, il migliore amico gay di Carrie.
Però con Stanford hanno trovato la scusa perfetta: diventa monaco scintoista (ma perché?) e se ne va in Giappone piantando in asso il marito Anthony.


E ora arriva lui. Il woke.
Non bastava il covid, che viene morbosamente citato ogni cinque secondi, c’è anche il woke.
In primis c’è la storia dei pronomi.
Non bastava una scena di dieci minuti tipo SuperQuark per insegnare a infilarsi un tampax (come se poi fosse complicato!), no, ci vogliono anche i pipponi su che tipo di pronomi usare quando incontri una persona.
Perché magari si chiama Mario ma si sente Mariuccia, oppure è Paola ma a tratti si sente Paola e altre volte si sente Carlo, oppure si sente un tavolo o ancora niente.
E tu devi sapere che pronome usare, sennò li offendi nell’animo.
No comment.

Poi arriva Che. Non Che Guevara ma Cheryl Diaz che è, cito, una non binaria bisex che vuole usare il pronome “loro” riferito a se stessa in quanto una volta si alza e si sente uomo (senza il batacchio fra le gambe) e un’altra donna, ma può anche decidere di cambiare la percezione di se stessa durante la giornata.
E di questa cosa di nome Che si innamora Miranda, l’apoteosi della scemenza fatta donna.
Ora, l’attrice che fa Miranda è lesbica e va bene. Ma il personaggio di Miranda è sempre stato etero fino al midollo: che senso ha adesso farla diventa lesbica?
Fra l’altro, cosa che non ho digerito, Miranda non solo tradisce il marito Steve (che la sopporta come un santo da anni) ma sfascia la famiglia.
Motivo?
Eh, con Che si fa del gran sesso.
Perché, scusate, a 60 anni si fa ancora sesso? Sul serio? È un film dell’orrore?


Ma attenzione, non finisce qui.
C’è anche Rock. No, Rose. No, Rose che è femmina ma si sente Rock però non vuole cambiare sesso.
Di chi parlo? Non di una demente, ma della figlia secondogenita di Charlotte.
Una ragazzina di 12 anni che a 6 si sentiva un cane e per una settimana ha bevuto in una ciotola colma di acqua, adesso si sente maschio ma vuole restare femmina però vuole sentirsi chiamare “lui” quando è Rock e “loro” quando è Rose.
Basaglia, perché hai fatto chiudere i manicomi? Cosa ti è saltato in mente?

E poi arriva la lista delle milf.
Mi aspettavo un po’ di incazzatura da parte delle madri definite scopabili a quasi 60 anni da ragazzini di 13.
Invece no.
Abbiamo Charlotte e Lisa (uno dei nuovi personaggi, ovviamente di colore) strafelici di occupare il podio delle milf.

Parliamo delle puntate?
Senza Samantha sono un taglio di vene e nemmeno inserire altri personaggi (tre donne che non funzionano, però sono nere e indiane, così hanno sopperito all’inclusività ) per riempire la mancanza non aiuta.
La durata degli episodi è raddoppiata: si passa dai 25 minuti di una sit com ai 40 di un dramma!
E dramma lo è sul serio perché non c’è più ironia (dai, manca pure la voce narrante di Carrie che si limita a una laconica frase a fine puntata), non ci sono spunti, è un tentativo di riportare in auge una cosa buona ma che è finita.
Finita, defunta e sepolta.

Prima di concludere, ho altre due osservazioni da scrivere.
La prima è puramente da blogger amante del cinema.
Se mi citi Casa Howard e mi dici che Anthony Hopkins fa il maggiordomo, tu stai parlando di Quel che resta del giorno.
Vogliamo essere un po’ precisi, che già tutto fa pena?


La seconda osservazione verte su un atteggiamento che non ho digerito.
Nel primo Sex and the City i soldi giravano, non è mai stato un mistero, ma non erano ostentati.
Anzi, ci sono stati spesso momenti in cui Carrie come tutti i comuni mortali faceva fatica a tirare il mese, ci siamo trovati davanti a Steve senza lavoro, a Miranda che penava per avere il mutuo...
Qui no.
Qui non solo la ricchezza è ostentata ma diventa uno strumento di discriminazione mediatica. 
I personaggi della serie sono pieni di soldi e continuano a ripetere frasi offensive verso chi, purtroppo, fa fatica a vivere.
Frasi come “andiamo a caccia di uomini in uno di quegli hotel dove i poveracci non possono andare” o “ho comprato un vestito con così pochi dollari che potevo sfamare mezza Manhattan”.
E c’è anche la cena di un anniversario di matrimonio dove gli sposi si sono dimenticati (in quanto troppo impegnati a trombare) di spedire gli inviti: perciò, anziché offrire tutto quel ben di dio di cibo a chi ne aveva bisogno, preferiscono strafogarsi a tavola in cinque.
Per non parlare delle omelette da 26 dollari perché, come dice Carrie “non sono mica una misera casalinga”.
È vero, Carrie, non sei una casalinga.
Sei una parassita che vive dell’eredità del marito e si scopa mezza New York, alla faccia del lutto.
Al pari delle tue amiche, vecchie e nuove, che sono strapiene di soldi e snobberia (non so se esiste come parola) e prendono in giro chi non ha più lacrime nemmeno per piangere.

Per tirare le fila, dicono che forse ci sarà una terza stagione di And just like that.
Si sa, al peggio non c’è fine.



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