Morire con dignità.
È questo il difficile tema di quello che, secondo me, è il più bel film di Pedro Almodovar dai tempi di Donne sull’orlo di una crisi di nervi e Tutto su mia madre.
Fra l’altro è il primo film realizzato in America e in lingua inglese, cosa mai avvenuta prima.
È questo il difficile tema di quello che, secondo me, è il più bel film di Pedro Almodovar dai tempi di Donne sull’orlo di una crisi di nervi e Tutto su mia madre.
Fra l’altro è il primo film realizzato in America e in lingua inglese, cosa mai avvenuta prima.
Nella New York contemporanea e nella vicina, splendida, villa di montagna si svolge una storia che è una delle tante tragedie che accadono ogni giorno: essere malati terminali.
Marta soffre infatti di un tumore incurabile alla cervice, si è sottoposta a cure sperimentali che hanno fallito miseramente.
Ha una figlia, Michelle, con cui ha un pessimo e quasi inesistente rapporto.
Il padre della bambina, il suo amore di gioventù, è morto dopo che la loro storia d’amore era già finita e lei, ancora adolescente, lasciava la bambina ai genitori.
È sola, nonostante abbia avuto una vita avventurosa: è stata infatti una giornalista di guerra, ha girato per il mondo, ha scritto libri e in lei Almodovar ci fa rivedere con affetto e un po’ di malinconia la grande e indimenticabile Oriana Fallaci.
Sta per morire, ma non vuole andarsene nella sofferenza.
Vuole per sé una morte dignitosa, desidera scegliere in modo consapevole il momento della sua morte.
Dall’altra parte abbiamo Ingrid, la più cara amica di Marta.
Anche se il tempo le ha separate per un po’, sono sempre legate a doppio filo, complice la relazione che entrambe hanno avuto con l’intellettuale Damien.
Ingrid ha paura di vivere, fatica ad accettare la perdita delle persone che ama e il tempo che scorre inesorabile.
Eppure, proprio lei, sceglie di aiutare Marta e di starle vicino.
E in mezzo a ricordi, incertezze, percorsi interiori ci sono altri tre elementi importanti. Il primo è l’ideologia che diventa fanatismo, rappresentata da Damien e dal poliziotto che indagherà sulla morte di Marta.
Al fanatismo che rovina il mondo si contrappone la natura, il tornare alla semplicità, alla verità e ai rapporti autentici.
E poi c’è il perdonare e perdonarsi, la capacità di andare avanti anche dopo la perdita di qualcuno, l’accettazione del lutto che si svela nell’incontro finale fra Ingrid e Michelle.
La fotografia, secondo me, è stupenda.
Niente è lasciato al caso e le due attrici, Tilda Swinton e Julianne Moore, si armonizzano e contrappongono alla perfezione.
Commovente e azzeccata la scelta di Almodovar di usare il finale del libro Gente di Dublino, di James Joyce, per descrivere il sottile confine fra la vita e la morte: la neve giaceva, fitta, sopra le croci inclinate e sulle pietre tombali, sulle lance del cancelletto, sugli spogli roveti.
La sua anima svaniva lentamente mentre udiva la neve cadere leggermente attraverso l’universo e cadere soavemente, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi ed i morti.
E io, per farvi capire quanto mi è piaciuto questo film, vi lascio con un brano del grande Fabrizio de André che ben si addice al finale della pellicola:
Ottima recensione, grazie
RispondiEliminaGrazie Benedetta!
EliminaSono d'accordo con te, questo film è riuscito a portarsi in pari con Tutto su mia madre che secondo me, finora, era stato il film migliore di Almodovar.
RispondiEliminaLa performance attoriale è sublime, niente in questo film è lasciato al caso.
Lo rivedrò volentieri.
Ti abbraccio.
Anche io lo rivedrò, ho comprato anche il dvd!
EliminaCiao.